Riproponiamo un brano tratto da “Il Corrierino degli Eoippici -considerazioni in libertà sull’ippica dei purosangue”, a cura del Clubino degli Eoippici
Controcorrente
Ogni sport si alimenta di record e di campioni, anzi di campionissimi. Di questi ultimi l’ippica è felicemente prodiga. Per limitarci all’ultimo mezzo secolo Ribot, Sea Bird, Brigadier Gerard, Mill Reef, Nijinsky, Shergar, Sea the Star, Zarkava, Frankel. E molti altri ne ho dimenticati. Ne consegue che gli appassionati dell’ippica non hanno bisogno di iperboli dei mezzi di comunicazione tanto i meriti di quei fenomeni sono evidenti a chiunque.
Scrivo questo per introdurre le mie considerazioni, controcorrente, sulle King George and Queen Elizabeth del 2014. Per anni questa corsa è stata la mia preferita, quella cui attribuivo il valore selettivo più alto. Sarà stato per il fascino di Ascot, o piuttosto per i diamanti messi in palio per l’occasione dallo sponsor, la De Beers, fatto sta che questo primo scontro classico tra la generazione dei tre anni e gli anziani mi entusiasmava. Ai miei occhi la corsa dei diamanti dava più prestigio al suo vincitore che non l’Arc de Triomphe parigino.
Ma i tempi mutano. Nell’ippica globalizzata il calendario non lesina corse di gruppo I, tanto che il loro fascino si diluisce in troppi rivoli. Già da qualche anno le King Gorge non sono più quelle. Bella corsa si, ma, diventati come siamo di bocca fine, non esaltante. L’ho scritto dal momento in cui Telescope è stato installato a favorito del betting. Possibile mi sono detto. Vero è che Stoute è un maestro, come del resto Fabre, nel portare i propri soggetti all’apice della forma proprio nel giorno del giudizio – chi non ricorda il mediocre Kris Kin autore della corsa della vita nel Derby di Epsom del 2003 – ma bastava esaminare il palmares di Telescope per convincersi che si trattava di un soggetto (tardivo ma non poi troppo) da gruppo I al livello più basso, oserei dire appartenente più al gruppo II nelle annate buone. Nelle Hardwickes Telescope ha dato 7 lunghezze a Pether’s Moon che è cavallo vincitore di un gruppo III a Goodwood, ma nulla più.
Dunque Sheik Hamdan e il trainer Gosden, si dice più convinto il proprietario del secondo, hanno colto come si dice la palla al balzo. Avendo la vincitrice delle recenti Oaks di Epsom, l’imbattuta Taghrooda, nella forma perfetta per affrontare una schiera di avversari non certo trascendentale, hanno mirato a ripetere le gesta di una delle più formidabili femmine di sempre, la Dahlia vincitrice nel 1973 a tre anni d’età e ripetutasi l’anno successivo.
Taghrooda ha vinto le King George e convinto. Dopo aver goduto di un percorso ottimale nella posizione di retroguardia le è stato sufficiente un solo scatto per sorvolare i duellanti Telescope e Mukhadram impegnati in un tenace ed incerto duello lungo tutta la retta d’arrivo. Gli altri concorrenti erano predestinati, diciamolo forte, a fare numero e così è stato, dall’irriconoscibile Trading Leather, al bollito Magician. Mukhadram, cavallo coriaceo e volitivo, alla Persian Punch per intenderci, ha svolto fin che ha potuto il suo ruolo di valletto, ma palesemente su distanza eccedente le sue caratteristiche.
In conclusione lode a Tahgooda, ma da qui a gridare alla nascita di una nuova Zarkava ce ne corre e l’averla installata a 3 nell’antepost dell’Arc mi pare un eccesso di fiducia e uno specchietto. Comunque sia papà Sea the Star è ben messo.